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La nostra vita è un camminare

11-01-2025 21:49

Itinerari Bassa Padovana

Giubileo, pellegrinaggio, Pellegrinaggio, fede, camminare, viaggio,

La nostra vita è un camminare

un viaggio, forse un pellegrinare. mons. Domenico Sigalini

La dimensione spazio - temporale del nostro vivere viene pienamente coinvolta e rappresentata dal viaggiare. Il pellegrinaggio del nostro essere nel mondo è capace di esprimere la transizione e la trasformazione: la morte, la vita, i momenti della vita sociale, come il trapasso, la vita quotidiana, i riti di passaggio.

  • Vivere è camminare sempre verso una meta. 
  • Meta ha connessioni linguistiche con il termine limite. 
  • C'è un limite al nostro viaggio? 
  • O c'è alla fine uno sfondamento? 

Si va linearmente verso la meta, oppure ci si smarrisce
tra le onde del mare o le dune del deserto o negli intrighi della selva? Si procede circolarmente fino a tornare sugli stessi passi o si arriva a un capolinea, inteso come capolimite? 

È importante allora indagare circa la meta. 

Insomma si tratta della nostra vita, non di un trekking qualsiasi.


•    Il viaggio è sofferenza e punizione
Gli antichi vedevano il viaggio come sofferenza o addirittura come punizione. Il viaggio è un mutamento che spoglia, riduce e logora chi lo compie. È troppo intrigante vedere nelle stesse parole che dicono viaggio anche il termine fatica: travel e travail, to fare e to fear (il timore del rischio).


•    Il viaggio è penitenza
Adamo ed Eva sono cacciati dall'Eden; a loro viene ingiunto di viaggiare e faticare; la loro partenza spezza i legami tra il peccatore, il luogo e le occasioni del peccato ed è una maniera per lasciarsi la colpa alle spalle.

 

•    Il viaggio è conquista di libertà
Nel medioevo chi voleva liberare un suo servo doveva dotarlo di un'arma, portarlo a un crocevia e mostrargli che tutte le strade erano aperte davanti a lui. Il divieto di viaggiare era infatti segno di schiavitù.

 


Camminare è sempre verso una meta.

Ma quale è la meta del nostro viaggiare?


Il viaggio di Ulisse
Il poema epico di Ulisse è una rappresentazione di un modo molto comune di affrontare il viaggio. Lì il viaggio è un ritorno a casa; le peripezie che il protagonista affronta si susseguono solo per essere superate fino al completo ritorno; tutto si chiude tornando al punto di partenza. Di Ulisse si dice che1 seduto sulla riva del mare1 i suoi occhi non erano mai asciutti di lacrime. Gli si consumava la dolce vita così, sospirando il ritorno ... «Non altro male è maggiore ai mortali dell'andare vagabondando», dirà al suo giungere in porto. 

Ma è proprio questa la meta del viaggio della nostra vita?
È tipico di un viaggio la triste esperienza del dimenticare la meta, sperimentare che il ritorno non si avvera perché si è rimasti irretiti1 smarriti, accalappiati da distrazioni e si dimentica da dove siamo partiti. Chi siamo? da dove veniamo? ... si domandavano già i primi filosofi.
Dirà Kafka, che del viaggio interpreta soprattutto lo smarrimento:
«Io sono qui, non so altro, non posso fare altro. Il mio battello è senza timone, va con il vento che spira nelle regioni più basse della morte. Sono sempre in movimento1 ma quando prendo il massimo slancio e già si illumina la porta di lassù, mi sveglio nel mio vecchio battello, tristemente finito in chissà quali acque terrene».
Il viaggio, privato cioè della possibilità di finire, diventa un eterno vagare. Ecco allora che diventa un caso serio: viaggiare sì, ma verso dove? Il destino è un eterno ritorno? Il viaggio sarà senza qualità, senza meta un errare continuo in un labirinto mortale o, peggio ancora, immortale?

 

Il viaggio del popolo ebreo
È un viaggio senza ritorno, verso la terra promessa. È sostanzialmente un esodo: la nostra vita è andare verso, uscire da ciò che è proprio, dalla terra, è una uscita radicale. In qualsiasi momento bisogna essere pronti a mettersi in cammino, perché uscire è una esigenza alla quale non ci si può sottrarre.
Abramo, felicemente proprietario, a un certo punto rompe e rinuncia. Anche gli ebrei intraprenderanno l'esodo e questo farà di loro un popolo: un camminare oltre, fuori, lontano, senza possibilità di ritorno.
Il deserto è un mare di sabbia sulla cui superficie, increspata dal vento, si disegnano le onde. Nel deserto, come nel mare, tutte le vie si aprono, solo per richiudersi alle spalle, e tutte le strade si confondono. Continuamente si trasforma, mai uguale a ciò che si è superato, non c'è mappa che lo possa descrivere. È un camminare senza meta, nella certezza della meta senza cammino.
!:ebreo non conosce ritorno. È orientato alla terra promessa e da questa promessa senza fine nasce una attesa assoluta, sciolta dalla meta.
r: esodo poi diventerà un esilio da cui traboccherà ansia, insicurezza, infelicità, ma anche speranza, e sarà proprio questa a definire il futuro del popolo.

 

Il viaggio del cristiano
Per un cristiano la promessa che sta all'orizzonte c'è. È una novità imprevedibile, è pronta a mostrarsi. Non siamo su un battello ebbro che taglia gli ormeggi e salpa senza pilota per rotte indefinite, non siamo partiti per tornare, la nostra patria, la nostra casa, la vera nascita
non è prima, ma dopo. Il nostro futuro non si inarca nel passato: noi proiettiamo la nostra vita in avanti, non abbiamo nostalgia (nostos algìa), o passione, o dolore, perché siamo tesi a un ritorno e fatti di desiderio. Noi non ci rivoltiamo, ma ci rivolgiamo.
Solo così il nostro viaggio diventa un pellegrinaggio. Il viaggio
è esplorare, muoversi sulla terra, restare in una superficie piana senza verticalità; il pellegrinare invece è scalare una montagna, il pellegrinaggio porta alla scoperta, permette di accedere a qualcosa di nuovo, originale e inatteso, apre alla libertà, va oltre le costrizioni
contingenti per aprire a uno spazio senza confini, immagine di uno spazio interiore.

 

Essere pagani significa fissarsi, insediarsi in virtù di una conquista che tifa «consistere la vita» nel possedere ciò su cui abiti. Andare,
viaggiare, camminare, essere pellegrini invece è dire che il possesso non ci basta, che vogliamo andare oltre, che aspiriamo a qualcosa di inedito, di sorprendente. E la nostra sorpresa è Cristo, è la vita oltre la morte, è la bellezza di Dio, la sua grande bontà e la sua misericordia.

 

mons. DOMENICO SIGALINI



 

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